Diritto all’identità e parità di genere, le ragioni della riforma del cognome
Un convegno a Viterbo: “Nel nome della madre”. Accademiche, studentesse e terzo settore presentano insieme il volume “La riforma del cognome in Italia. Tra diritto all’identità e promozione della parità di genere”
“Nel nome della madre”: il Forum del Terzo settore del Lazio lancia il dibattito pubblico sulla riforma del cognome con un incontro a Viterbo dedicato ai temi posti dal volume “La riforma del cognome in Italia. Tra diritto all’identità e promozione della parità di genere” (Blonk editore) a cura di Francesca Dragotto, responsabile del Centro di ricerca multidisciplinare “Grammatica e sessismo” dell’Università di Roma “Tor Vergata”, Sonia Maria Melchiorre, Università degli studi della Tuscia e Rosanna Oliva de Conciliis, Rete per la Parità.
Dragotto e Melchiorre discuteranno con Elvira Federici, presidente di Sil, Società italiana delle letterate, con Alessandra Troncarelli, assessora alle Politiche sociali della Regione Lazio e con esponenti dell’associazionismo e della Rete studentesse e studenti di Viterbo. A coordinare e fare gli onori di casa Francesca Danese, portavoce Forum Terzo settore del Lazio.
La recentissima sentenza della Corte costituzionale, sulla base della quale sono illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome paterno ai figli, è una pietra miliare perché sancisce che l’articolo 262 del Codice civile è discriminatorio e lesivo dell’identità del figlio. Ora è tutta aperta in Parlamento la partita di quale riforma.
«Una battaglia che viene da lontano – ricorda Francesca Danese– la prima proposta di legge è del 1979, quattro anni dopo una riforma storica del diritto di famiglia. Già nel 2006 s’era pronunciata la Consulta scrivendo che il solo cognome paterno è “il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con il valore costituzionale dell’uguaglianza uomo donna” ed esortava già il Parlamento a cambiare le regole. Lo stesso ha fatto la Corte di Strasburgo quando ha condannato il nostro Paese nel 2014 ma in Italia è cambiato poco o nulla. Dal 2016 se i genitori sono d’accordo, è possibile aggiungere il cognome della madre a quello paterno. Ma non basta.
E se la politica è stata immobile non è stato certo perché ci sono temi più urgenti. Piuttosto perché per alcuni settori della società e della politica è ancora un tabù dare concretezza a una parità di genere evocata e sancita in astratto. Lo dimostrano non solo le dichiarazioni choc di una nota imprenditrice che ha dichiarato di assumere solo donne in età non più fertile ma, più in generale, temi come quelli della parità salariale e del gender gap in molti altri aspetti della vita. Un nome vuol dire identità, dignità ed è insopportabile, oltre che incostituzionale, una differenziazione rispetto al genere nell’assegnazione del cognome. La riforma dovrà essere un altro passo verso il superamento del patriarcato, verso la presa di coscienza collettiva della parità».
Il libro è il terzo volume della collana Grammatiche della societàvoluta proprio dal Forum del terzo settore del Lazio e dal Centro studi di Tor Vergata “Grammatica e sessismo”.
L’appuntamento è per il 17 maggio 2022, alle 17 Circolo Arci Il Cosmonauta, via dei Giardini, 11 Viterbo, nel quartiere di Pianoscarano.