Terzo settore: per attuare la riforma “va formata la pubblica amministrazione”
Co-programmare e co-progettare serve per far crescere tutti i soggetti interessati, migliorare l’analisi dei bisogni evitando gli sprechi e rafforzare l’impatto sociale. Lo chiedono alcuni dei formatori del programma Capacit’Azione. E chiedono di parlare un linguaggio comune
Per far funzionare i rapporti di collaborazione tra terzo settore e pubblica amministrazione ci vuole una formazione specifica per funzionari e dirigenti sulle novità introdotte dalla riforma del terzo settore. Bisogna parlare un linguaggio comune e per far dialogare questi sistemi è necessaria maggiore competenza. Sono alcune delle riflessioni emerse dalle interviste in profondità realizzate ad alcuni operatori della pa da nord a sud Italia che hanno partecipato al programma formativo sulla riforma Capacit’Azione, in particolare al modulo dedicato a co-programmazione e co-progettazione. A conclusione delle attività formative del progetto realizzato da Forum Terzo Settore Lazio in collaborazione con il Forum Nazionale del Terzo Settore e CSVnet e finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ad alcuni partecipanti sono state poste alcune domande per valutare l’offerta formativa, tastare le aspettative rispetto alle novità legislative in questo campo e far emergere i nuovi bisogni della pubblica amministrazione.
Il progetto è realizzato con la partnership di Anpas, Anteas, Arci, Auser e CdO-Opere sociali e il supporto, in qualità di collaboratori di sistema sono Acli, Anci Lazio, Anffas, Pro Bono Italia, Coordinamento periferie, Legambiente, Leganet e Legautonomie.
Superare i dubbi interpretativi, migliorare l’analisi dei bisogni e rafforzare l’impatto sociale
Da un punto di vista normativo, infatti, forme di sussidiarietà erano già state aperte da provvedimenti come la legge 328 sui servizi sociali, portando a diverse esperienze di co-progettazione in ambito sociale su aspetti innovativi. Quella introdotta dall’art. 55 del codice del terzo settore consente la sua applicazione a tutte le 26 attività di interesse generale, e non solo per progetti innovativi. La co-programmazione è poi una novità assoluta che riconosce agli enti del terzo settore pari dignità rispetto alle istituzioni perché svolgono attività di interesse generale. Sono loro che possono contribuire all’individuazione dei bisogni generali e all’individuazioni delle risposte più efficienti.
Su questi temi le aspettative sono alte. In primis si chiede chiarezza normativa. “Bisogna regolamentare le forme di relazione tra pa e terzo settore – ha spiegato Maria Giuseppa Divona, funzionario della Regione Lazio – e superare i dubbi interpretativi che hanno accompagnato e frenato l’applicazione di questi istituti dalla valenza culturale e pratica travolgente. Serve l’impegno di tutti: le pa dovranno individuare modalità regolamentari ed organizzative legittime ed efficaci per gestire i rapporti e adeguare la competenza del personale, attraverso una formazione costante; gli enti del terzo settore liberarsi della autoreferenzialità e partecipare, con responsabilità e senza rivalità, alla definizione ed attuazione delle politiche pubbliche, mettendo a disposizione dei tavoli di confronto conoscenze ed esperienze”.
A migliorare, inoltre, sarà soprattutto la valutazione del contesto. “L’analisi condivisa dei bisogni è la chiave di queste nuove esperienze – continua Giuseppina Saccà dell’ufficio Servizi sociali dell’Unione dei Comuni del “Versante Ionico” che unisce 10 Comuni nell’area di Soverato (Cz). Una sinergia ordinata tra pa e terzo settore servirà a individuare quelli emergenti e ampliare i servizi evitando interventi a pioggia, facilitando una programmazione cucita secondo le reali esigenze degli utenti”.
Crescere insieme, significa far crescere soprattutto le piccole realtà. “Credo sia utile mantenere un legame anche con le imprese sociali del territorio perché la continuità dei servizi – spiega Alessandro Venturini, dell’Istituzione Servizi Educativi Scolastici e per le Famiglie di Ferrara – deve essere considerata una ricchezza. Questo non significa evitare la concorrenza o perseguire una modalità lobbistica, ma è un modo per far crescere le piccole realtà territoriali favorendo la nascita di modalità di lavoro consorziato”.
Coollaborare, infine, per migliorare l’impatto sociale complessivo degli interventi. “Sono strumenti che possono portare a una maggiore efficienza nell’utilizzo dei fondi di settore – spiega Donatella Rossi, coordinatrice dei servizi socio sanitari di LAZIOcrea S.p.A. – e ad un maggiore efficacia nella implementazione delle politiche regionali. Fondamentale assicurare procedure operative snelle e passaggi amministrativi semplificati che coinvolgano il più possibile le associazioni di rappresentanza. Nello spirito della legge di riforma dovrà essere attuato e potenziato lo strumento della valutazione di impatto sociale per orientare sempre meglio le attività di co-programmazione e co-progettazione”.